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L'altra storia


L'11 Settembre di ogni anno metto un coperchio sul mondo.
Perdo il cellulare, il telefono, mino il citofono.
Non ho una radio, non so leggere i giornali.
Detesto la retorica stesa sopra i cadaveri, teli di broccato pesante a coprirne le tracce più che le facce.
Tutti amano sempre sentirsi parte delle tragedie per un bisogno primordiale di sentirsi migliori.
Di redimersi per tempo. La pretesa di lavarsi dentro con tutte le lacrime piante fuori.
Tutti si ricordano di avere un cuore cucito dentro la pelle.
Appena sopra l'orlo dello stomaco.
Tutti si sentono Berlinesi, Americani o Norvegesi a seconda della tragedia segnata dal calendario.
Delle bandiere che avvolgono le bare dei morti.
Tutti dicono di essere cambiati.
Le solite guerre, il solito rancore, le solite barricate.
I soliti errori. Manco il gusto di farne di nuovi.
Io non c'ero.
Io non lo so com è essere schiacciata da una torre che ti cola addosso.
Non lo so cosa vuol dire chiamare in segreteria e lasciare un messaggio ad un figlio che non vedrò crescere.
Avere dentro le mani il filo spezzato della mia vita e sapere che non potrò fare altri nodi.
Le lacrime in mondovisione.
Che se tutte quelle lacrime le si infilasse dentro uno spago si farebbero rosari che a venderli si sfamerebbe il mondo.
E la detesto, questa retorica, perchè copre le colpe, le cause, le dissecca come siccità coi pozzi.
Copre tutte le altre storie.
Quelle più piccole.
Più piccole solo per errore della prospettiva lontana.
Come le facce dei caduti comuni quando è la tua parte che perde la guerra.
Racconti freddi come le spirali di vento che sferzano Capo Horn.
Aridi di lacrime, neri di rabbia come i tizzoni di brace.
Non ho immagini, non ho voci incise, non ho cerimonie.
Ho solo una storia. L'altra.
Un segnalibro dentro un'altra vita.
Dentro la casa degli spiriti.
Il Cile è una lingua di terra impastata con l'Oceano e le rocce della Cordigliera.
E in questo giorno nel 1973 quelli che oggi piangono i loro morti innocenti armarono il colpo di stato che portò alla morte di Salvador Allende.
Suicida dentro il proprio palazzo di Santiago.
Eletto democraticamente.
Socialista. Marxista.
Anticapitalista. Un pericolo per chi, di capitalismo, vive.
Non ne tesserò le lodi. Non farò l'elenco di ciò che era o di quello che avrebbe potuto essere.
Non lo so, non lo sapremo.
Ma a lui subentrò Augusto Pinochet, sulla cui giacca blu da generale ci sono appuntati migliaia morti, croci di carneficine spietate, di torture, di esili, di sparizioni.
Una delle mani più sanguinarie che ha scritto sul grande libro del pianeta. 
Un bel vanto per chi lo ha accompagnato lì.

Ognuno ha sempre una rabbia giustificata per i propri morti.
Mai per quelli che ingiustificatamente causa.
Mai per tutti quelli che potrebbe salvare, cominciando a curarsi del proprio popolo invece che della propria supremazia.
Ora se mi chiedete il rispetto per le pecore, bianche e vaporose, che finiscono fracassate dentro i burroni, sempre,
ma la pietà per il pastore che le manda a crepare, mai.

Rapsody in Blue, Gershwin.

1 commenti:

il Russo | 12 settembre 2011 alle ore 17:06
  

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