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Attrito

Mi son fermata al negozietto che regala un angolo ad una rotonda squadrata, coi manici verde ruggine e i marciapiedi spolverati.
Mi ci fermo quando torno dalla palestra, col borsone sulle spalle come fosse il guscio rugoso di una testuggine, e blu, come un cielo portatile.
C'è una signora dagli occhi semplici e dai modi grezzi, un bancone lungo e asciutto, come un sorriso.
Come la ragazzina che ti porge le buste.
La signora parla tanto, e spesso racconta di sè, un pò per intrattenere i clienti mentre la ragazzina si fa le ossa, un pò perchè certa gente è semplicemente fatta così.
"Io lavoravo in Germania, avevo una salumeria grossa con la mia famiglia".
Io parlo poco, perchè certa altra gente pensa che poco sia semplicemente abbastanza.
Solo che ero sovrappensiero, pensavo, rismontavo, mettevo travi, disfacevo armadi,
aggiornavo il breviario della mia vita e questa frase è venuta su come una musica di sottofondo.
Di quelle che segui ad istinto, senza manco accorgertene: " e perchè sei qui adesso?"
"Perchè poi mia madre ha pensato...Mia figlia poi si sposa uno straniero?"
Ho pagato, sono uscita di fretta.
Più per il fastidio colloso della risposta.
Più per il mio non aver risposto.


La mia famiglia è un gioco di matrioske.
Incrocio maldestro di posti diversi.
Un paesino salato dal mare, scavato a tornio in moto dalla riviera dei fiori,
sanpietrini di Trastevere, dissestati, come le anime belle e fontanoni in cui lavarci i sogni.
E una città pensata coi panni stesi sempre, tessere colorate, vetrate di una Notre Dame di stoffa.
E un vento Argentino, vivo e caldo, che mi rincorre ovunque e che mi ricorda sempre fisarmoniche e tangheri,
l'odore acre delle scorze e quello dolce della navi.
Non concepisco lo straniero.
Quando nasci sei un foglio bianco in cui cominci a scrivere.
Tutto ti è straniero, niente ti è familiare perchè familiare non è altro che un esercizio che ti dà il tempo.
Non è altro che un'abitudine alla vita.

Non siamo tutti uguali, che noia sarebbe, che mondo gramo.
Abbiamo differenze ruvide, larghe distanze sterrate.
Ma esistono i ponti. E gli incroci.
Non solo i fortini, i confini, i muracci.
Che certe macerie restano soprattutto dentro, come l'eternit di certi tetti.
Restare lontano, senza incamminarsi.
La fatica dello stare insieme, la paura dell'attrito, il terrore degli angoli, ridurre le emissioni pure dei sentimenti.
Essere ovunque senza volersi sporcare la giacca, le dita, i piedi, l'anima.
Sia mai ci si ferisca.
Si assaggi il dolore.
Come se ferirsi fosse un dramma e non una forgia per la vita.
Fin quando sei così disabituato al dolore che ti disabitui anche al piacere.
E spezzarsi un'unghia diventa un problema.
Una tragedia di Sofocle.
E perdi il senno, il senso.
Perdi il  metro con cui dai importanza alle cose.


La medida màs segura de toda fuerza es la resistenza che vence, dice qualcuno.
E' per questo che mi piace l'attrito.

Mi ricorda la difficoltà del camminare insieme a velocità diversa, magari in direzione opposta.
Magari l'uno sopra l'altro, radenti.
Magari rotolare come ruote d'aratro in un campo di grano, come l'attrito volvente.
Che se poi la gente sapesse che l'attrito più forte è solo quello iniziale.
E' solo l'inerzia.
E' solo la pigrizia.




Yo soy Marìa, da
Marìa de Buenos Aires, operita  de Ferrer musicato da Astor Piazzolla.
Storia di una puttana, della sua ombra, di un folletto che parla troppo.
E ha troppi muri.

10 commenti:

Zdenek | 6 settembre 2011 alle ore 12:51
  

  M'hai fatto 'na capa tanta, e mi tocca stampare pure questo.
Avanzi, segna.

Se sei mancina e somigli alla Callas, ti conosco.
M'offristi il posto a sedere su un treno, tempo fa.
Rifiutai. 

 
La Scalza | 6 settembre 2011 alle ore 16:48
  

  Mica l'ho capita sta cosa della capa tanta.
Segna però sì.

Può essere.
Basta guardare i capelli.
Te la ricordi 'se no..desisti' ? 

 
Zdenek | 6 settembre 2011 alle ore 17:46
  

  Nel senso di "materiale su cui riflettere attentamente", previa stampa su carta, come l'altra volta che ancora avanzi. Era nu' cumpliment' !!!

Me la ricordo, sono come una macchina fotografica.
La somiglianza con la Callas, però, è dirimente. 

 
La Scalza | 6 settembre 2011 alle ore 18:07
  

  Cuonc' cuonc', non avevo capito.
A volte mi capita. 

 
Zdenek | 6 settembre 2011 alle ore 18:33
  

  Scusate, signori', non lo faccio più.
Avevo preso il commento per il bancone, lungo ed asciutto. 

 
La Scalza | 6 settembre 2011 alle ore 18:40
  

  E che sei permaloso? ;)

E infatti così devi fare. 

 
Gianandrea Ghirri | 6 settembre 2011 alle ore 19:05
  

  Scusate se mi intrometto, inopinatamente... Giusto per sapere se la riviera dei fiori è in Campania o in Liguria. :) 

 
La Scalza | 6 settembre 2011 alle ore 19:08
  

  Liguria, Liguria.
Il paesino è Bordighera. 

 
Flo | 7 settembre 2011 alle ore 01:22
  

  Metro non v'è. Solo poesia nell'andare assieme.
Straniero... unico straniero che mi viene in mente è "Straniero alla terra" ed io un po' lo sono, un po' lo ero.
A volte tornano... ma con meno parole. E più silenzi. Ma per te non posso non venire.

Flo 

 
Gianandrea Ghirri | 10 settembre 2011 alle ore 02:29
  

  Liguria! Liguria!
La metropoli è La Spezia. 

 

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