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Carta e pixel

Fabriano è un grumo di pietra rossastra, un canneto di punte acute e campanili sporcati di bianco.
Cammino scortata da coorti di porticati sinceri con cappelli puliti di archi a tutto sesto.
Mi guardano dall'alto finestre trifore fino ad una gola enorme, a sesto acuto, che fa da portone.
Che poi è tipicamente islamico.
Perchè l'architettura e l'arte se ne fregano della latitudine. E della politica.
Mi infilo in una porticina fiorita da un muro di mattoni
a grana grossa e ne esco con le tasche piene di carta bianca e ocra, liscia e ruvida, a varie pezzature e filigrane.
Carta per carta riapro i giornali mentre cerco qualcosa che somigli ad un caffè.
Mi piacerebbe che Bersani si sedesse in una piazza aperta qualunque e spiegasse che succede con Penati.

Questa ritrosia per le domande con la pesantezza di un arco ribassato, la fumosità di certe dichiarazioni come l'aria faticosa dell'incenso di certe navate.
Che se crede a Penati va pure bene, ma lo dicesse, lo ammettesse.
Che in questo paese siamo pieni di mercanti d'ovvio,  di archi rampanti che si slanciano dapprima leggeri, ma che si preoccupano sempre di avere un contrafforte sicuro dove precipitare.
Come i democristiani.
Questo perder tempo, prender tempo, come se si potesse aggiungere o togliere a seconda del vento o del carico, come questi pilastri a fascio, che sei sempre in tempo ad aggiungere o togliere una nervatura.
E allora sale sempre la rabbia per le mancate occasioni.
Quelle in cui puoi fare la differenza ed interrompere i declivi tutti uguali, come i trifori sulle sale.
Mai che si aprano uno sguancio nel muro, sia mai si riuscisse a trovare la via d'uscita.
Sia mai che si eviti agli elementi decorativi tipo Gasparri di sentirsi strutturali.

L'Avvenire fa sapere che la Chiesa paga le tasse.
E che non evade.
Anche i condoni sono legali.
E a guardia di certe cattedrali non ci sono gli angeli, ma le gargolle.

Quasi mi viene da parteggiare per Tremonti.
Lasciato solo come un abside a guardare l'altare dalle spalle.
E la proposta indicibile di smezzare il Ministero dell'Economia in Bilancio, Finanza e Tesoro.
Per costruire nuovi pulpiti e piazzare puttane Perpetue.

E' passato pure Irene mentre torno a casa.
La teatralità degli americani è sempre disarmante.
E' ora di rincalzare le radici nella crosta della terra.
Che posso capire i granai di campagna, fatti di legno bianco e una manciata di chiodi di ruggine, ma non capisco di che si preoccupava New York, fatta d'acciaio, imbullonata per bene fin sulle guglie dei grattacieli.
Che addirittura Repubblica ha messo su i finali dei peggiori film apocalittici.
La solita guerra tra il vento ed il cemento.
Tra l'acqua ed il vino.
Tra la carta ed i pixel.

Quasi dimenticavo.
Mumford & Sons, The Cave.

3 commenti:

il Russo | 29 agosto 2011 alle ore 11:30
  

  Ecco, ne parlavo con un amico blogger proprio ieri pomeriggio: ma che cazzo me ne frega dell'attesa di Erica se una sua parente italiana è passata dalle parti di Sesto San Giovanni facendo ben altri danni? 

 
Zdenek | 29 agosto 2011 alle ore 12:23
  

  Certe cose per acquisire la vita - ed un senso - devono essere messe nero su bianco, sporcandosi le dita.

Quello quando l'hai disegnato? 

 
La Scalza | 29 agosto 2011 alle ore 13:07
  

  @Russo: il problema è che questi aspettano sempre qualcosa. Aspettano che passi il vento. Da tutti i punti di vista.

@Zdè: Preciso e lapidario.

Qualche anno fa.
Nell'epoca in cui la carta di Fabriano me la portava mio padre. 

 

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